IL GIORNO DELLA MEMORIA: PERCHÉ
L’istituzione del Giorno della Memoria in Italia è avvenuta con la legge 20.7.2000 n. 211: “La Repubblica Italiana riconosce il 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.”
Quando le truppe sovietiche arrivarono al campo di sterminio nazista di Auschwitz, in Polonia, davanti a loro si presentò una scena terribile: uomini, donne e bambini ridotti a scheletro, segregati, torturati e poi uccisi e bruciati solo perché ebrei, zingari, oppositori antifascisti, omosessuali.
Era l’immagine dello sterminio. La più assurda e angosciante barbarie che mente umana abbia immaginato nel Novecento, con milioni di vittime, 6 milioni di ebrei.
Nel corso della seconda Guerra Mondiale, circa 40.000 italiani furono strappati dalle loro case dai militi della Repubblica Sociale o dalle truppe tedesche di occupazione e deportati nei Lager che i nazisti avevano allestito in tutta Europa, per l’eliminazione fisica di milioni di uomini, di donne e di bambini.
Dei deportati italiani, quasi 10.000 furono gli ebrei e circa 30.000 i partigiani, gli antifascisti, i lavoratori; questi ultimi arrestati in gran parte dopo gli scioperi del marzo 1944.
Solo 1 su 10 fece ritorno: il 90% finì i suoi giorni annientato dalla macchina hitleriana dello sterminio.
Altre guerre e altre stragi di innocenti sono seguite a quelle di Auschwitz, di Mauthausen o della Risiera di San Saba a Trieste, l’unico campo di sterminio nazista in Italia.
Stragi spesso ignorate o dimenticate.
Ecco perché la memoria.
La Memoria significa conoscere la nostra storia, anche nelle sue pagine peggiori.
Serve a ciascuno di noi per dire “voglio che quel passato non ritorni. Né qui in Europa, né altrove”.
La Memoria è la difesa di una civiltà dove nessuno possa cancellare – nel senso di eliminare – chi è diverso da lui, perché ha la pelle di un altro colore o perché prega un altro Dio.
La giornata della Memoria è un modo per ritornare col pensiero lì, all’ingresso di Auschwitz. E per rivedere il volto di chi, rinchiuso in quei campi, avrebbe voluto avere una vita serena, lunga, felice e invece gli è stata negata, con la violenza, con la sopraffazione.
Il ricordo di quegli anni tragici ci fa apprezzare ancora di più il valore, l’importanza, della pace e della libertà riconquistata, ci fa comprendere quanto grande è stato il sacrificio di chi ha sofferto e ha combattuto perché il sogno, la speranza di una vita serena, lunga, felice, non fosse/non sia più negato – a nessuno.
E’ per questo che è giusto ricordare, perché ciò che è accaduto non accada mai più.
LO STERMINIO DEGLI EBREI
Lo sterminio si consuma negli anni 1941-45, ma l’apice è il 1942. Furono almeno 6 milioni di ebrei e mezzo milione di zingari. Il processo devastante di distruzione si sviluppò in quattro fasi:
1. definizione per decreto (chi è ebreo);
2. l’espropriazione (beni, imprese, lavoro, diritti) ed espulsione;
3. separazione dal resto della popolazione e concentramento;
4. annientamento.
La fase due inizia già nel 1933 e si prolunga fino alla Kristallnacht (9-10 nov. 1938).
La fase 3 inizia nel ’39 quando, con l’invasione della Polonia, i nazisti si accorgono che è impossibile espellere tutti gli ebrei. Riesumano il “ghetto” medievale. Lòdz, Varsavia, Lublino.
La fase 4 comincia nel 1941. Qui comincia il vero e proprio sterminio: piccoli reparti mobili di SS e polizia, le famigerate Einsatzgruppen, al seguito dell’esercito tedesco, rastrellano i territori occupati per eliminare spie, commissari politici sovietici e tutta la popolazione ebraica. Si procede con fucilazioni di massa.
1942, gennaio: parte l’ordine di procedere alla Endlösung, alla “Soluzione Finale”. Vengono ampliati e riadattati a campi di sterminio i campi di concentramento esistenti. Nella primavera del ’42 entrano in funzione i primi campi creati esclusivamente per lo sterminio. Sono sei, tutti nella parte tedesca della Polonia occupata: Belzec, Sobibor, Treblinka, Lublino-Majdanek, Chelmno ed il tristemente famoso Auschwitz.
In un anno circa 2 milioni di morti provenienti dai ghetti della Polonia.
Il maggiore centro di sterminio era Auschwitz, predisposto per “liquidare” fino a 10.000 persone al giorno.
Ne riuscì ad uccidere in totale 1.300.000 (Treblinka 900.000). In totale la Soluzione Finale distrusse i 2/3 della popolazione ebraica europea.
In Italia la politica antisemita fu analoga a quelle delle altre nazioni. Fino al 1938 gli ebrei italiani erano cittadini come tutti gli altri. Erano presenti in tutti gli strati sociali e partecipavano alla vita della nazione. C’erano fascisti che avevano partecipato alla marcia su Roma.
Aldo Finzi era ebreo squadrista, deputato, sottosegretario agli interni nel primo governo Mussolini,membro del gran consiglio fascista, vicecapo della polizia, partecipò poi alla resistenza nel Lazio e arrestato morirà alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944.
C’erano quelli che erano fascisti soltanto per opportunismo perché senza la tessera del partito era praticamente impossibile trovare un’occupazione; c’erano antifascisti come ad esempio i fratelli Carlo e Nello Rosselli: il primo, scrittore, economista, allievo di Salvemini, insegnante all’Università Bocconi di Milano; il secondo, scrittore anch’egli e collaboratore dell’ Enciclopedia Italiana.
I due fratelli furono assassinati in Francia il 10 giugno 1937 da squadre fasciste inviate appositamente dall’Italia.
Nel 1936 iniziò in Italia una martellante campagna di stampa contro gli ebrei da parte di due giornali: un quotidiano “Il Tevere” diretto da Telesio Interlandi ed un periodico “La difesa della razza” a cui collaborava e si distingueva per la violenza dei suoi attacchi un giovane giornalista, quel Giorgio Almirante che sarebbe poi diventato il fondatore del Movimento Sociale Italiano.
Questi due giornali, seguiti poi da tutta la stampa fascista, sostituirono il termine ebreo con quello di giudeo che veniva invece usato in senso dispregiativo con riferimento all’apostolo Giuda Iscariota che nei Vangeli è indicato con l’appellativo di traditore.
Nel luglio del 1938 compare il primo atto ufficiale antiebraico, sia pure solo teorico. Era “Il manifesto degli scienziati fascisti” detto anche “manifesto della razza” che fu sottoscritto da 180 pseudo scienziati del regime.
Sempre nel 1938 vennero allontanati da tutte le scuole italiane docenti e studenti ebrei. Due giorni dopo il primo provvedimento antiebraico, ve ne fu un altro che ordinava l’espulsione di tutti gli stranieri ebrei, inclusi quelli che avevano la cittadinanza dal 1 gennaio 1919. Per tutti gli altri che non lasciarono l’Italia fu creato il campo di concentramento di “Ferramenti” a Tarsia in provincia di Cosenza.
Agli ebrei veniva così tolto non soltanto il diritto di “avere” ma anche il diritto di “essere” perché molti provvedimenti toglievano la possibilità di poter svolgere un lavoro o una professione ma altri incidevano sulla qualità della vita e in essi era contenuta soltanto la volontà vessatoria e persecutoria del fascismo. Furono centinaia questi divieti, fino ad arrivare alle deportazioni, e alla tragica notte del 16 ottobre 1943 con la deportazione in massa degli ebrei di Roma.
Gli ebrei romani, come gli ebrei di tutta Europa, a milioni furono deportati nei lager, nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
I lager (Konzentrationslager) furono utilizzati dal regime nazista dal 1933 per confinarvi dapprima gli oppositori politici, poi anche, e soprattutto, il popolo ebraico. Nel primo periodo (1933), con l’avvento al potere di Hitler, i lager avevano lo scopo di “rieducare” i tedeschi antinazisti: comunisti, socialdemocratici, obbiettori di coscienza.
Fu la Germania nazional-socialista, durante la seconda guerra mondiale, a dare ai campi di concentramento la sinistra fama che da allora conservano. Affidati direttamente al controllo delle SS, divennero, soprattutto negli anni della seconda guerra mondiale, sede della “soluzione finale” contro gli ebrei, oltre che di sperimentazioni pseudo-scientifiche su esseri umani.
I lager più famigerati furono quelli di Auschwitz, Buchenwald, Dachau, Mauthausen. In Italia funzionò il campo di concentramento di Fossoli, mentre l’unico campo di sterminio fu la Risiera di S.Sabba.
Un milione di persone perirono anche in campi di concentramento meno noti in Jugoslavia (Gospic, Jasenovac, Sajmiste), nei Paesi Bassi (Mechelen, Herzogen-busch), in Norvegia, Romania e Grecia.
IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI MAUTHAUSEN
Mauthausen è una località dell’Alta Austria, presso Linz, nelle cui vicinanze era sito un campo di concentramento per prigionieri durante la prima guerra mondiale. Il regime nazista lo trasformò nella seconda guerra mondiale in campo di sterminio. Famosa è la sua “scala della morte” di 186 gradini che i deportati usavano per scendere nella cava. Inseguiti lungo la scala, reggendo sulle spalle una pesantissima pietra, i deportati correvano sotto le bastonate dei “Kapò” e i colpi di calcio di fucile delle SS.
Per le SS il campo di concentramento svolgeva due funzioni: serviva all’eliminazione dei nemici politici attraverso la detenzione, le violenze, le uccisioni arbitrarie (cosa che consentiva il mantenimento di un regime di terrore tra gli oppositori del nazismo, al di fuori del campo); e contemporaneamente era una fonte di profitti, attraverso lo sfruttamento intensivo del lavoro dei deportati.
Mauthausen, il solo campo di concentramento classificato di “classe 3” (come campo di punizione e di annientamento attraverso il lavoro) divenne uno dei più terribili Lager nazisti. I prigionieri dovettero fare fronte a condizioni di detenzione inumane e lavorare come schiavi nelle cave. Le violenze, le brutalità, le punizioni disumane, la fame e le uccisioni costituivano elementi essenziali della vita quotidiana. Le uccisioni avvenivano in molte forme: attraverso le violenze dirette delle SS, le impiccagioni, le fucilazioni, le iniezioni al cuore, gli avvelenamenti e infine con il gas. Alcuni deportati furono semplicemente bagnati e lasciati gelare fino alla morte nel rigido inverno austriaco.
L’incremento della produzione bellica e gli sforzi compiuti dal nazismo di trasferire in gallerie sotterranee le produzioni delle fabbriche colpite dai bombardamenti alleati portarono a partire dal 1943 a un allargamento delle funzioni del campo. Una grande parte dei prigionieri fu destinata alla produzione degli armamenti in diversi campi satellite.
Circa 200.000 persone di differenti nazionalità furono deportate a Mauthausen: oppositori politici, persone perseguitate per motivi politici e religiosi, omosessuali, ebrei, zingari, prigionieri di guerra e anche criminali comuni. Circa la metà dei deportati furono uccisi, o morirono a causa delle inumane condizioni di vita e di lavoro.
Al momento della liberazione, nel maggio ’45, si trovavano nei campi che facevano capo a Mauthausen circa 66.500 deportati (di cui 1.734 donne) molti dei quali in condizioni tali da non sopravvivere a lungo. Gli italiani deportati qui furono più di 8.000.
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Il 16 maggio 1945, in occasione del rimpatrio del primo contingente di deportati, quello sovietico, si tenne sul piazzale dell’appello una grande manifestazione antinazista, al termine della quale fu approvato il testo di questo appello, noto come il
“Giuramento di Mauthausen”
«Si aprono le porte di uno dei campi peggiori e più insanguinati: quello di Mauthausen.
Stiamo per ritornare nei nostri paesi liberati dal fascismo, sparsi in tutte le direzioni.
I detenuti liberi, ancora ieri minacciati di morte dalle mani dei boia della bestia nazista, ringraziano dal più profondo del loro cuore per l’avvenuta liberazione le vittoriose nazioni alleate, e salutano tutti i popoli con il grido della libertà riconquistata.
La pluriennale permanenza nel campo ha rafforzato in noi la consapevolezza del valore della fratellanza tra i popoli.
«Fedeli a questi ideali giuriamo di continuare a combattere, solidali e uniti, contro l’imperialismo e contro l’istigazione tra i popoli. Così come con gli sforzi comuni di tutti i popoli il mondo ha saputo liberarsi dalla minaccia della prepotenza hitleriana, dobbiamo considerare la libertà conseguita con la lotta come un bene comune di tutti i popoli. La pace e la libertà sono garanti della felicità dei popoli, e la ricostruzione del mondo su nuove basi di giustizia sociale e nazionale è la sola via per la collaborazione pacifica tra stati e popoli. Dopo aver conseguito l’agognata nostra libertà e dopo che i nostri paesi sono riusciti a liberarsi con la lotta, vogliamo:
• conservare nella nostra memoria la solidarietà internazionale del campo e trarne i dovuti insegnamenti;
• percorrere una strada comune: quella della libertà indispensabile di tutti i popoli, del rispetto reciproco, della collaborazione nella grande opera di costruzione di un mondo nuovo, libero, giusto per tutti;
• «ricorderemo sempre quanti cruenti sacrifici la conquista di questo nuovo mondo è costata a tutte le nazioni.
«Nel ricordo del sangue versato da tutti i popoli, nel ricordo dei milioni di fratelli assassinati dal nazifascismo, giuriamo di non abbandonare mai questa strada. Vogliamo erigere il più bel monumento che si possa dedicare ai soldati caduti per la libertà sulle basi sicure della comunità internazionale: il mondo degli uomini liberi!
«Ci rivolgiamo al mondo intero, gridando: aiutateci in questa opera!
«Evviva la solidarietà internazionale!
«Evviva la libertà!»