Si moltiplicano gli episodi di discriminazione a sfondo razziale e di “guerra fra poveri”, ma la vera sfida è l’integrazione che non c’è
L’ultimo episodio in ordine di tempo è quello che si è verificato alla stazione di Venezia, dove due energumeni hanno aggredito e picchiato un giovane ghanese di vent’anni, colpevole di stare facendo il suo lavoro di facchino, al grido di “Abusivo! Negro! Questo è il Paese di Salvini!”.
Ma ormai non passa giorno senza che nelle cronache dei giornali non ci sia quel trafiletto, messo sempre più in basso a segnare forse un’assuefazione, sull’ennesimo episodio di razzismo. I titoli sono in alcuni casi agghiaccianti, come quello di qualche giorno fa sul “cane aizzato contro un ambulante sulla spiaggia”, questa volta sul litorale ligure, mentre “tutti applaudivano e ridevano”.
Ma c’è anche l’operatrice socio-sanitaria di origini senegalesi a cui è stato rifiutato il contratto in una casa di riposo a Senigallia, dopo un periodo di prova, perché alcuni ospiti si sarebbero lamentati con frasi tipo “Non ci piaci perché sei nera”, oppure le minacce sulla metro a Torino a una donna col velo, apostrofata con un “Stai zitta! Ora sguinzaglio il cane e ti faccio sbranare”, o ancora i volantini di stampo razzista distribuiti ieri sera da Forza Nuova, provocatoriamente, a piazza Vittorio a Roma, luogo simbolo della città multietnica.
Mentre sulle nostre coste continua a giocarsi una battaglia simbolica su una crisi che non c’è – gli ultimi dati del Viminale hanno certificato a giugno un calo degli sbarchi del 79% in un anno -, la guerra vera sembra dunque stare scoppiando nelle nostre città e nelle nostre strade, come inevitabile frutto avvelenato della politica della paura assurta al governo del Paese.
Il fenomeno, a dire il vero, aveva cominciato a diffondersi già prima dell’avvento del “salvinismo” al governo: secondo i dati diffusi a febbraio dall’osservatorio Voci di confine in un anno gli episodi di discriminazione a sfondo razziale erano infatti 1800, circa cinque al giorno, e secondo una ricerca di Amnesty International l’odio razziale ha dominato – sui social – anche l’ultima campagna elettorale, con un post xenofobo ogni ora, per il 51% da parte di candidati della Lega.
Ma appare legittimo il dubbio che l’atteggiamento muscolare del governo a trazione leghista, costruito non sulla realtà ma su una sua percezione distorta, stia dando a parole e atteggiamenti tipici della peggiore destra una cornice di terribile legittimità.
Si tratta certamente di un filo rosso che affonda le sue radici in un disagio, forse troppo a lungo sottovalutato, ma è un escalation che chiama in causa fortemente un tema cruciale e che rappresenta la vera sfida dei prossimi anni, e cioè quella di un’integrazione possibile, perché se è vero che sulle nostre coste sbarcano sempre meno stranieri, è vero anche che negli anni scorsi molti ne sono arrivati, e oggi vivono nelle nostre periferie, spesso ai margini, alimentando quella guerra fra poveri sempre più spesso evocata solo per lo spazio di un titolo.
Una sfida che non si vince nei porti, ma nelle nostre città, dando risposte concrete ai cittadini, tutti, più esposti al disagio. È forse per questo, è il dubbio che sorge, che si tratta di una parola completamente scomparsa dalle neolingua del governo gialloverde? Una cosa, nel frattempo, appare certa: che sia per effetto della volontà o dell’incompetenza, a fare le spese del populismo grillo-leghista è, finora, un pezzo della nostra civiltà.