Al Forum di Milano vogliamo rimettere al centro le parole, quelle che danno identità e donano un senso alla nostra passione politica
Prima di avviare il Congresso del partito, al Forum nazionale di sabato e domenica a Milano, vogliamo rimettere al centro le parole. Non quelle del chiacchiericcio mediatico, ma quelle che danno identità, donano un senso alla nostra passione politica e illuminano le politiche che si mettono in campo quando si governa. Quelle parole, cioè, che dobbiamo recuperare per far capire per cosa ci battiamo. Perché è proprio quando i progressisti hanno smarrito queste parole che gli eredi dei grandi riformatori del Novecento sono gradualmente diventati i tecnocrati del secolo successivo. Delle due l’una: o torniamo a essere idealisti senza illusioni, o lasceremo inevitabilmente il campo agli illusionisti senza ideali che stanno sfasciando il Paese.
Al Forum di Milano arriviamo dopo una campagna di consultazione di iscritti ed elettori, Il futuro ci ascolta. In sole due settimane ci hanno risposto in 24 mila di cui solo la metà iscritti al PD. Persone che ci hanno tenuto a dirci la loro compilando il nostro questionario in cui avevamo chiesto di indicarci quale idea di partito e di Paese avessero per il futuro. Ci hanno risposto da tutta Italia, da Piero che ci ha scritto da Frassino (273 abitanti in provincia di Cuneo) ad Anna da Roma. Da Giacomo, 15 anni, a Renato, 89. Addirittura in 600 hanno trovato il tempo e la voglia di allegare al questionario un documento con proposte dettagliate, di cui faremo tesoro discutendone nei nostri gruppi parlamentari.
L’obiettivo è ripartire dalla categoria delle parole, dei valori, delle proposte. Consapevoli che si tratta solo di un primo piccolo passo e che davanti alla volontà di partecipazione che il nostro popolo ci ha dimostrato, il Pd deve obbligatoriamente dotarsi di strumenti orizzontali di coinvolgimento e mobilitazione. Un percorso lungo e irto di ostacoli a cui tutti quanti dobbiamo lavorare. Il 30 settembre in Piazza del Popolo a Roma la nostra comunità ci ha chiesto unità e ce l’ha ribadito nelle risposte al questionario. L’unità però non può nascere da un unionismo di facciata o da una tregua armata tra correnti ma dalla capacità di ritrovare il gusto di parlare di contenuti e – perché no – di valori.
C’è una pagina bianca da riscrivere tutti insieme. La stagflazione degli anni Settanta marcò il passaggio dal grande consenso keynesiano, durante il quale anche i governi di centrodestra aumentavano la spesa pubblica e allargavano lo stato sociale, a quello neoliberale, quando anche i governi di centrosinistra hanno iniziato a privatizzare e a mettere il welfare in cura dimagrante. Quale nuovo consenso emergerà dopo lo spartiacque che stiamo vivendo non ci è dato sapere ma lo sbocco dipende anche da noi. Per governare il cambiamento serve un riformismo empatico e radicale. L’empatia ti fa parlare alla vita delle persone. E la radicalità della tua agenda politica ti fa interprete dell’urgenza del cambiamento.
Oggi un riformismo radicale non può balbettare rispetto a quattro parole. Emancipazione. Cittadinanza. Ecologia. Europa.
Emancipazione oggi vuol dire ripartire dal diritto universale all’istruzione di qualità, dalla dignità del lavoro, dalle opportunità delle donne e dei giovani. Sicurezza economica, sì, ma anche recupero di una risorsa che sta diventando sempre più scarsa ed elitaria: il tempo. Un tempo di qualità, per lo studio, per la famiglia, per nuove esperienze.
Cittadinanza. Chi nasce e studia in Italia è italiano. Diritti e doveri valgono per tutti gli italiani, vecchi e nuovi. E l’immigrazione non è un’invasione da bloccare ma una risorsa da gestire.
Ecologia. È possibile crescere economicamente senza far esplodere il pianeta? La risposta è “sì” ma solo se faremo le scelte giuste. È cruciale assumere l’obiettivo di zero emissioni di gas serra entro il 2045, lavorando per il taglio delle emissioni del 60% entro il 2030.
Europa. Serve un Presidente eletto dai cittadini europei, un Parlamento che legifera, un budget a gestione politica che completi l’unione monetaria con un’unione fiscale. E serve un’unione sociale, redistribuendo i rischi tra cittadini europei. È legittimo che la signora Schulz abbia paura che parte delle sue tasse possano aiutare il signor Rossi quando perde il lavoro, ma senza la condivisione di alcuni rischi l’Europa muore. Anche nella costruzione dello stato sociale nazionale, la redistribuzione non è stata un processo semplice, con linee di frattura che hanno attraversato la sinistra. C’era chi la voleva solo al Nord, chi solo per gli operai. Adesso è il momento di fare la stessa scelta in Europa. Su questo i riformisti radicali non possono essere ambigui. E su questo dobbiamo costruire un’ampia alleanza di tutte le forze progressiste per le prossime elezioni europee.
Maurizio Martina @maumartina , Tommaso Nannicini @TNannicini