L’Assemblea del Partito Democratico ha trovato un’intesa sui passi da percorrere nell’immediato futuro. Il reggente Maurizio Martina è stato eletto segretario con pieni poteri e avrà il compito di gestire la fase congressuale straordinaria che lui stesso ha aperto nel corso del suo intervento. L’appuntamento per la parte finale del congresso, ossia l’elezione del nuovo segretario, verrà fissata nel corso della prossima Assemblea, ma verrà svolta sicuramente prima delle elezioni europee della prossima primavera del 2019.
I lavori dell’Assemblea nazionale sono stati aperti dall’intervento dell’ex segretario del PD, Matteo Renzi, che ha parlato della situazione politica, delle ragioni della sconfitta elettorale e del futuro del partito.
Renzi scalda la platea: “Basta divisioni, ci hanno fatto perdere le elezioni”
“Prima di tutto vorrei pronunciare la parola ‘Grazie’ rivolta a tutti i militanti del Partito Democratico. Non c’è dubbio che abbiamo perso, ma se voi guardate a questi ultimi quattro anni trovate un partito che ha avuto il maggior impatto politico della storia d’Italia. Se non avessimo fatto quello che abbiamo fatto nel 2014, l’ondata populista ci avrebbe sommerso nel 2018. E chi ha bombardato il partito da dentro in questi quattro anni, non ha distrutto il Pd ma l’alternativa al populismo in questo Paese. L’alternativa al Pd non era la sinistra, ma la destra, la destra più pericolosa che c’è in Europa. Non penso, per questo, che la soluzione per il Pd sia rifare il Pds, non penso che la nostalgia sia la risposta. C’è una destra che guida il Paese con i tweet ma con un messaggio culturale, la sfida è culturale, è l’egemonia l’obiettivo di questa destra. Noi abbiamo perso l’egemonia tra maggio e giugno del 2017, facendoci imporre l’agenda da altri: dalla legge elettorale alle coalizioni fino allo ius soli. Avevamo alternative? Sì, l’alleanza con i Cinque Stelle, che io ho combattuto per due ragioni. La prima: chi vince le elezioni deve governare. La seconda: il M5s non è la nuova sinistra, ma la vecchia destra, che ha trasformato la dialettica politica in un zuffa personale che si alimenta solo di odio. C’è una differenza fondamentale tra noi e loro sulla gestione del tema immigrazione, sui cui in questi anni abbiamo fatto un lavoro straordinario, lavoro che è stato messo in discussione prima di tutto da sinistra. L’epigono di tutto questo è stato Macerata, dove invece che difendere il Pd che fu uno degli obiettivi della sparatoria, gli intellettuali radical chic si chiedevano dove fosse la sinistra a Macerata. Tutti questi oggi si trovano la peggior destra al governo, un governo che va da Casapound a Casaleggio, che sta trasformando l’Italia in una provincia dell’Impero austro-ungarico”.
“Dieci ragioni per cui abbiamo perso. Uno: sembravamo establishment, anzi lo eravamo. Due: c’è un’ondata internazionale, la vogliamo vedere o facciamo finta di nulla? Tre: le divisioni interne, un partito che fino a una settimana prima del voto litiga su tutto, non può vincere le elezioni. Quattro: io non ho rinnovato abbastanza, soprattutto al Sud. Cinque: mancanza di leadership, ci siamo abituati a giocare con falso nueve. Sei: non abbiamo più dettato l’agenda, vedi ius soli, dove o si metteva la fiducia a giugno oppure si smetteva di parlarne; o vedi vitalizi, che si fanno o non si fanno; i voucher, se facciamo passare il jobs act come il padre di tutti i mali, poi non lamentiamoci se vince Di Maio. Sette: i tempi e i toni della campagna elettorale, non è l’algida sobrietà che fa sognare un popolo. Otto: ci siamo autoimposti il tema della coalizione, che non interessava a nessuno e che ha avvantaggiato solo il centrodestra. Nove: non abbiamo spiegato abbastanza bene quello che abbiamo fatto, dal sociale ai diritti, siamo stati poco sui social dove si è sviluppata una campagna devastante. Dieci: si dice abbiamo rappresentato il futuro in modo semplicistico, invece io credo che non l’abbiamo fatto. Il futuro per noi non può essere una minaccia, non può essere un futuro cupo e grigio, siamo una forza progressista che deve raccontare il futuro come un luogo bello dove andare”.
“Abbiamo di fronte a noi un tempo fantastico, è molto facile conquistare il potere, è molto più difficile mantenerlo. Io mi sono dimesso e mi sono dimesso sul serio ma ho da chiedervi solo una cosa: se fai le primarie e chiami due milioni di persone a votare, poi non è pensabile che duecento appartenenti a una corrente mettano in discussione il risultato. Sono molto ottimista sul fatto che nei prossimi mesi le cose cambieranno, a partire da Roma. Questa città merita di più dell’indecente balletto di questi due anni, penso che la riscossa partirà da qui. Fuori da qui c’è una battaglia culturale da fare: la mia sintesi è un euro in cultura, un euro in sicurezza. L’Italia deve essere nota per la bellezza, non per la paura. Questa Italia ha bisogno di un Pd che faccia la propria parte, rispettando l’idea che quando si decide insieme bisogna procedere insieme. Basta divisioni, basta risse da cortile. Io, nel mio piccolo, farò la mia parte”.
Martina: “La portata della sfida è grande, dobbiamo allargare il nostro campo”
“Vorrei che da noi partisse un messaggio di consapevolezza in un momento così delicato, innanzitutto provando a riconoscere la straordinarietà della sfida che abbiamo davanti. Il percorso che dovremo fare deve sempre avere presente il Paese reale, il corpo vivo della società. Quell’egemonia culturale che ha fatto vincere la destra ci riguarda e riguarda soprattutto il nostro popolo. Ci tocca un lavoro nuovo, dobbiamo costruire, scrivere una pagina nuova del nostro impegno, ben oltre le nostre divisioni e i nostri limiti, perché la partita si è fatta più grande e più complessa. Abbiamo le energie per costruire il nostro riscatto, per un percorso da fare insieme, nella battaglia costruiremo la nostra speranza. Qui non c’è nessuna resa, c’è solo la consapevolezza di voler fare questo lavoro, dentro una vicenda europea complicatissima”.
“Le prossime elezioni europee, probabilmente, saranno le prime elezioni europee, in cui la posta in gioco è altissima, legata ad un’idea di cittadinanza su cui dobbiamo sfidare l’idea regressiva della destra. Abbiamo un gigantesco bisogno di trovare idee e prospettive nuove, che diano valori su cui costruire la nostra battaglia. Quando Massimo Cacciari dice che siamo a un passaggio della storia, in cui le parole della sinistra, del cattolicesimo sociale, del progressismo sono un bronzo che risuona a vuoto, dice una verità che fa male. Dobbiamo muoverci da quello che siamo per cercare il nuovo e qui ci sta tutta la discussione europea su come sfidare i nazionalismi, insieme alla famiglia socialista e democratica e insieme alle nuove leadership che stanno emergendo”.
“Credo che questa assemblea deve avere piena consapevolezza della radicalità della sconfitta del 4 marzo e del cambio di scenario. Oggi è tornato tutto in discussione, il problema per noi oggi è trovare una nuova via per affrontare la nuova destra di questo Paese, uno spazio nuovo di lavoro che vada certamente oltre quello che conosciamo. Noi non bastiamo a noi stessi. Qua non si tratta di guardare al passato o costruire formulazioni già viste. Si tratta di dare un messaggio a tante persone disilluse che devono poter trovare ancora in noi una strada credibile, riconoscibile. Serve una segnale di apertura, di coinvolgimento che parta dal basso. Sarà un lavoro lungo e rigenerante, che ci consentirà di trovare la forza per costruire l’alternativa”.
“Propongo che il partito da oggi avvii un percorso congressuale straordinario, che da qui a prima delle Europee ci consenta di avere idee, programmi, uomini su cui costruire tutto questo. Cosa vuol dire fare un partito nel 2018, quali innovazioni vanno fatte, il tema della democrazia digitale, il territorio. Possiamo fare questo lavoro a partire da oggi, pensando di attivarlo subito. In autunno è fondamentale costruire il percorso dei nostri congressi territoriali, un punto di sfida fondamentale perché in molti posti il nostro partito è collassato. Ad ottobre dobbiamo lanciare un grande appuntamento che parli al Paese, non possiamo restare chiusi in noi stessi”.
“C’è anche da chiedere una mano a mondi culturali, economici, dell’associazionismo. E poi, con una prossima assemblea nazionale, definiamo l’ultimo tempo del nostro lavoro, che si dovrà chiudere prima delle elezioni europee, a cui dovremo arrivare preparati a pronti. In ballo ci sono le ragioni fondative del Pd, non possiamo affrontare questa sfida con l’impianto politico e culturale di dieci anni fa, perché la situazione è maledettamente più complicata. L’Italia è, a tutti gli effetti, un Paese che può trovare le energie, gli anticorpi, i protagonisti di questa riscossa. In questo senso, la rivoluzione dell’ascolto è la prima proposta che faccio a questo partito. La cosa più difficile da fare per un uomo politico è saper ascoltare”.
“Ci piaccia o no, ma se perfino i salotti liberali pongono al centro della loro discussione la lotta alla disuguaglianze, un partito di centrosinistra non può certo tirarsi indietro. Come garantisci equità, giustizia sociale, solidarietà in questo tempo? Non lascio ai Cinque Stelle la demagogia dei ragionamenti sul reddito, ma se noi non riconosciamo quel punto di sostanza, allora non capiamo cosa sta succedendo nella società. Quello che posso fare è rendermi disponibile a fare il segretario di un partito che si mette su questo crinale di lavoro, di riprogettazione, una pagina nuova sul progetto e poi sulle persone, come giusto che sia. Si può fare tutti insieme, io non ho paura della nostra pluralità. Il Pd deve scuotersi e mettersi alla ricerca, fuori di qui, di idee e di persone, di energie. Pagina bianca, pagina nuova, sguardo sul futuro, umiltà e determinazione. Dobbiamo suonare come se fossimo una grande orchestra”.
Cuperlo: “Dobbiamo far esplodere le contraddizioni del governo Lega-Cinque Stelle”
“Puoi perdere malamente le elezioni, ma quello che non puoi mai sbagliare è l’analisi. Liquidare questo governo come quello più a destra della storia è al tempo stesso una verità e un abbaglio. Per sfidare la destra devi cogliere la quota di verità che dicono i tuoi avversari, i valori che parlano alle persone. La prova è pensare una stagione nuova, la priorità è spezzare il legame che si sta creando tra le necessità delle persone e la reazione securitaria. La democrazia liberale è sotto attacco, dobbiamo affrontare questo conflitto. Il congresso non serve a regolare conti tra noi, ma ad arrivare in piedi a quelle elezioni che ci diranno se l’Europa è all’inizio di un nuovo inverno. Non dobbiamo combattere la propaganda con la propaganda, ma far esplodere contraddizioni e conflitti tra Lega e Cinque Stelle”.
Ricci: “Abbiamo bisogno di ripensare la forma partito”
“Sappiamo che abbiamo di fronte a noi una strada in salita, molto complessa, perché dobbiamo costruire la prima alternativa vera, progressista, ad un governo veramente populista. E’ evidente che noi abbiamo bisogno di ripensare la forma partito, ci siamo illusi che bastasse una buona comunicazione per far passare tutto ciò che abbiamo fatto per il Paese. Ma per fare questo ci serviva, ci serve un partito. Un’indicazione fondamentale ci arriva dalle amministrative: ad Ancora e Brescia, riconfermate le candidature, abbiamo valorizzato quanto fatto e parlato del futuro. A Siena e Pisa abbiamo litigato pubblicamente su tutto”.
Serracchiani: “Non è il momento per andare oltre il PD, ma dentro il PD”
“Siamo nati come il partito delle istanze riformiste, come il partito della modernità. In questi dieci anni tutto è cambiato e il partito per come l’abbiamo visto fino ad oggi è morto il 4 dicembre 2016. Oggi si apre non solo una fase congressuale, ma una fase costituente che deve vederci pronti per la sfida delle Europee. Questo non è il momento di andare oltre il Pd, ma di andare dentro il Pd. Il congresso sarà l’occasione per dire qual è il Paese che vogliamo e con chi vogliamo costruirlo. Serve un nuovo programma per un’Italia diversa. Alcune proposte concrete: una grande campagna d’ascolto che impegni tutti gli eletti, i dirigenti e i militanti. Poi una grande campagna d’informazione, impegniamoci quotidianamente a combattere le false notizie. Incalziamo il governo sul lavoro e sul reddito. Sul partito voglio lanciare due temi: dobbiamo prendere atto che stiamo operando in campo proporzionale, mi chiedo se non sia il caso di separare la figura del segretario da quella del presidente del Consiglio e di ragionare su un finanziamento trasparente dell’attività politica”.
Orlando: “Possiamo fermare Salvini ricordandoci cos’è il conflitto sociale”
“Abbiamo di fronte a noi una destra pericolosa egemonizzata da Matteo Salvini. Il nostro primo problema è fermarlo. La sua idea della democrazia è la dittatura della maggioranza, come dice con chiarezza Orban. E questo implica il non riconoscimento delle minoranze, mette in discussione la separazione dei poteri. L’altro giorno un esponente dell’esecutivo ha detto che il compito del governo è marginalizzare la magistratura progressista. La democrazia è anche tutela delle minoranze, di qualunque natura esse siano. Come possiamo fermare Salvini? Unendo principi e politiche. Sulla legittima difesa, ad esempio, dobbiamo dire che la tutela dell’individuo spetta alle forze dell’ordine. E non dobbiamo presentare una proposta alternativa. Sull’immigrazione dobbiamo dire che tutti hanno diritto a vivere dignitosamente e che per far incontrare persone che vengono dai quattro angoli del mondo c’è bisogno della politica. Oggi mi sarei aspettato una discussione sul perché le politica non riesce a calmare le paure. Francamente oggi non mi sarei aspettato che tutto fosse liquidato alle colpe di Leu – che ci sono -, allo scarso carisma di Gentiloni e alla rumorosità delle minoranze interne. Per fermare le due destre non dobbiamo aiutarle a saldarle. Ricordiamoci che una volta ci siamo alleati con i monarchici per cacciare i fascisti. E ricordiamoci il conflitto sociale, che ormai abbiamo cancellato dalle nostre discussioni. Il Fronte repubblicano forse va bene ai Parioli, non per chi si trova nelle condizioni di dover affrontare un mondo che non capisce e che gli si riversa addosso. Io penso che ci sono le condizioni per la ripresa di una iniziativa politica, una risposta al governo gialloverde, una opposizione intelligente basata su una intransigenza sui temi delle libertà e sulla capacità di incalzare la maggioranza sui temi economici e sociali.
Boccia: “La vera sfida è riformare il capitalismo”
“Chi ha ascoltato oggi il nostro dibattito non può non aver avuto la percezione che il Partito democratico ha bisogno di un Congresso. C’è bisogno di un momento serio, lungo e profondo, che consenta a tutti noi di dire quali sono i principi su cui vogliamo batterci fino in fondo. Io credo che la sfida che abbiamo di fronte è capire come si riforma il capitalismo nel tempo in cui viviamo. Su questo abbiamo perso, cosa che il segretario uscente ha invece rimosso. Oggi internet ha parcellizzato la società, siamo figuranti e la politica deve intervenire. E poi mi chiedo: con chi sta la sinistra, con i riders o con gli ad delle multinazionali? Siamo per chi produce ancora il carbone o con l’ambiente? E’ su questo che ci siamo divisi. Il dialogo con M5s nasce da questo ragionamento, il tentativo di discutere con i nostri elettori da che parte stiamo. Noi non abbiamo fatto una scissione, che ritenevamo stupida. Ma vorrei ricordare che nel nostro partito non ci sono più personalità come Prodi, Bersani, persone che dicono di non sentirsi più rappresentati. E figuriamoci quei tanti elettori che li sostenevano come si sentono. Su questo governo voglio dire una cosa: Salvini ha il 17% e guida l’Italia anche grazie alle scelte che abbiamo fatto noi”.